ALIENANTE


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U - V

Recensioni Film

UNCLE SAM

Ultima, per ora, regia di William Lustig datata 1997 che vanta anche la collaborazione del geniale Larry Cohen al soggetto e sceneggiatura. I due avevano già lavorato insieme per “Maniac Cop” e anche in questo caso sfruttano un'icona, che nell'immaginario collettivo americano rappresenta un caposaldo del patriottismo e della sicurezza, traslandola in versione malvagia e mostruosa. Un militare viene accidentalmente ucciso, dal fuoco amico, durante la guerra del golfo. Il suo spirito malvagio ed inquieto non ne vuole sapere di restare nell'aldilà e così sfrutta, una volta che la sua salma viene rimpatriata, la fervida ammirazione che suo nipote nutre per lui per trarne forza e risorgere. Indossato un costume da “Zio Sam”, il “nostro” decide di fare polpette di TUTTI gli americani che non sono animati da autentico spirito patriottico. Un'idea bizzarra, un'ironia che spesso sfocia nell'acido sarcasmo, una critica feroce alla guerra e al nazionalismo coercitivo e una buona dose di atmosfere cupe sono gli ingredienti che compongono la prima parte del film in questione. Nonostante il budget limitato, la mano di Lustig è robusta e la confezione del prodotto curata. Poi si scivola, è proprio il caso di dirlo, nella seconda frazione di film in cui è evidente sia una certa fretta nel terminare l'opera sia la mancanza di coraggio e cattiveria che spingono la vicenda su ambigue chiavi di lettura che contraddicono tutto ciò detto prima. Alla fine è proprio con l'uso delle armi e con la strategia militare che il male viene sconfitto e i vari personaggi anti-patriottici che vengono uccisi, dimostrano, con atteggiamenti decisamente sopra le righe,e di essere figure negative e di meritare la “punizione”. Peccato che un buon prodotto diventi, senza molto nerbo invero, un prevedibile slasher in cui l'eccessiva ironia finisce col nuocere all'esuberante idea di partenza. Poco gore , ma supportato da un valido cast e in grado di riservare un chicca finale, direttamente ripresa da “Paura nella città dei morti viventi”, che fa comunque capire il livello notevole di Lustig e la sua grande passione per il cinema horror (e per Fulci in particolare, visto che il film è dedicato alla sua memoria). Inedito in Italia.

UNDEAD

Questo horror australiano del 2003 si rivela una piacevolissima sorpresa densa di situazioni spassose e trovate piuttosto originali. Una pioggia di meteore investe una tranquilla cittadina australiana. Le pietre piovute dallo spazio hanno un effetto assolutamente spiacevole quando entrano in contatto con gli umani poiché li tramutano in zombi affamati di carne umana. IN poco tempo si scatena il caos e i pochi superstiti si trovano a lottare strenuamente per evitare di morire o, peggio ancora, essere contagiati. La vicenda avrà un’evoluzione inaspettata. Strizzando l’occhio, fin dai titoli di testa, all’horror e alla fantascienza anni’50 e senza celare riferimenti al cinema di Peter Jackson e Sam Raimi (alcune immagini riportano addirittura allo stile di Tim Burton !), “Undead” sorprende e diverte senza mai cadere nella banalità tipica di molti zombi-movies. I fratelli Michael e Peter Spierig, ,attivi in precedenza con cortometraggi in Super 8 e spot pubblicitari e qui al loro esordio cinematografico, hanno prodotto, scritto, montato e diretto la pellicola curandone,addirittura, molti degli effetti in computer grafica. Hanno saputo abilmente scavalcare la ristrettezza dei mezzi usando creatività, ironia e abilità in sede di regia, dimostrandosi virtuosi in taluni casi e giustamente essenziali in altri. Anche lo splatter è usato in maniera intelligente e mai gratuita, atto a suscitare risate più che disgusto, ed il make-up degli zombies è ben realizzato. Gli Spierig Bros. buttano nel calderone anche alcuni momenti in “bullet-time” stile “Matrix” con l’intento però di parodiare l’abuso che si fa attualmente di questa tecnica (basta vedere l’assurda scena in cui l’eroe di turno tira fuori , in continuazione, pistole dai pantaloni e piroetta in aria in modo assolutamente esilarante). Il finale di film è un abile gioco di “rimonte” con una serie di colpi di scena originali e ben congegnati. Da vedere.



UNINVITED
(THE UNINVITED)

Un gatto mutante fugge dal losco laboratorio di ricerche genetiche ove era rinchiuso e si mette a far danni in giro. Il micio ha una brutta caratteristica: quando si sente in pericolo, vomita dalla bocca un secondo gatto, deforme e mordace, che provvede ad eliminare la potenziale minaccia. Tre ragazzi e due formose “bimbos” salgono a bordo di uno yatch appartenente ad un imprenditore corrotto e viscido. Una della ragazze raccoglie il gatto-mutante e lo porta sulla barca promettendo di prendersi cura dall'animale. Ovviamente sarà l'animale a prendersi cura di tutto l'equipaggio a suon di morsi e sbranamenti assortiti. Horror trash del 1987 che annovera tutte le caratteristiche più “camp” del cinema low-budget anni '80. Ridicolo e scombinato com'è, non può che risultare uno spasso per lo spettatore goloso di porcherie su celluloide. La recitazione è indecente (anche George Kennedy e Clu Gulager sono coinvolti nel marasma generale) e la sceneggiatura propone perle uniche di idiozia (anche se una vena autoironica , più o meno consapevole, percorre la pellicola). Il regista Greydon Clark, artigiano volenteroso nell'horror e nella fantascienza ed autore, in precedenza, dell'interessante “Horror – Caccia ai terrestri (Without Warning)” , ha il tocco grossolano ma mantiene costanti ritmo e divertimento ed innaffia lo schermo con discinte ragazze e comici effetti splatter di infima categoria. Scandaloso il gatto mutante ! Un ignobile pupazzone di peluche, mosso da poco abili mani, oppure lanciato direttamente nell'inquadratura con esiti esilaranti. Imperdibile lo scontro finale fra i superstiti ed il mostro, su di una scialuppa di salvataggio. Rido ancora


URBAN LEGEND

Neo-slasher sulla scia inaugurata da "Scream" di Wes Craven che però manca di originalità nello sviluppo e si accoda ai prodotti medi, di rapido consumo. La storia parte davvero bene, con un inizio al fulmicotone , ma poi si spegne lentamente fino allo stanco e banale finale. Si narra di un campus americano dove i consueti giovani vengono decimati da un assassino incappucciato, che uccide in base alle cosiddette "leggende metropolitane" (ad es. la leggenda che si tramanda fra i giovani americani che bere pepsi-cola assieme alle caramelline frizzanti causa conati mortali di vomito, oppure la leggenda che vede la ragazza in macchina che attende l'arrivo del fidanzato e che sente d'improvviso tonfi sordi provenire dal tettino dell'auto scoprendo alla fine che si tratta della testa mozzata del suo boyfriend, che viene sbattuta ripetutamente da un folle!). Un'idea di partenza tuttosommato originale è vanificata da una sceneggiatura banale ed estremamente prevedibile ed anche la regia di Jamie Blanks, che proviene dal mondo dei videoclip, seppur tecnicamente valida risulta fredda ed impersonale. Durante il corso della storia si ha un senso piuttosto spiacevole di "già visto" e di "già sentito" e alla fine il prodotto può accontentare solo un pubblico di giovanissimi . Dopo il buon successo commerciale segue immancabile sequel dal titolo "Urban Legend 2 - Final cut".



UP FROM THE DEPTHS

L'isola di Maui, nell'arcipelago delle Hawaii, è un paradiso per turisti bisboccioni finchè un brutto giorno, dalle profondità oceaniche, fa capolino un gigantesco pesce abissale che inizia a mangiare un po' di persone. Un biologo, un giovane pescatore e la sua fidanzata decidono di dare battaglia al mostro ma incontrano l'ottusa opposizione del proprietario di un resort locale, che teme la fuga in massa dei turisti. Alla fine, come da prassi, una carica di tritolo in pancia alla creatura metterà le cose a posto. Co-produzione statunitense-filippina, datata 1979, che cerca di far passare gli scenari dello stato asiatico come spiagge soleggiate delle Hawaii. Ma tutto sommato questo è il difetto minore di “Up from the depths” che soffre soprattutto di un'indigeribile miscela di generi al suo interno. Parte horror, parte azione e parte commedia (dai siparietti ingenui e deprimenti), il film si muove indeciso su quale strada prendere e alla fine è la noia a trionfare sovrana. La sceneggiatura è una copia carta-carbone de “Lo Squalo” di Spielberg, che a distanza di quattro anni dalla sua uscita nelle sale ancora mieteva successi, ma la messa in scena è povera e il pesce-mostro assolutamente ridicolo. Lo si vede poco , invero, o si scorgono parti di esso (le pinne fuori dall'acqua, la bocca spalancata) ma l'impressione che si tratti di un pupazzone statico e approssimativo non abbandona mai lo spettatore. Per fortuna, a rallegrare un pizzico l'atmosfera, ci pensano le trovate trash che ogni tanto fanno capolino nella pellicola. Si va dalla penosa scena della caccia di gruppo al pesce, infarcita di gags pseudo-comiche altamente patetiche, fino all'incredibile scena finale nella quale (mi si perdoni lo spoiler) il biologo viene ferito a morte dal mostro marino. Il suo corpo viene recuperato e la sua scomparsa pianta dai restanti protagonisti. Dopo un minuto NETTO di lutto ai “nostri” viene subito in mente di usare il cadavere come esca e così viene immediatamente imbottito di tritolo e lanciato in acqua fa le fauci del mostro. E' vero che il fine giustifica i mezzi però almeno un po' di rispetto per i cari defunti...Prodotto dalla New World Pictures, sotto l'egidia di Roger Corman...


UPÍR Z FERATU

La Cecoslovacchia fù, a dispetto di ciò che si potrebbe pensare, un paese che produsse un discreto numero di film a tematica fantastica e “Upír z Feratu” rappresenta uno dei più bislacchi esemplari partoriti dalla cinematografia ceca. La storia vede un dottore preoccupato per via del bizzarro comportamento della sua amata collega di lavoro. Quest'ultima, abbandonata la professione di infermiera, firma un contratto con la casa automobilistica “Ferat” come pilota di rally e si mette alla guida di un nuovo, inquietante, modello di auto sportiva (nella realtà un prototipo realizzato dalla Skoda appositamente per il film). Le indagini del dottore, coadiuvato da un esperto di folclore ed esoterismo, lo portano a credere che l'automobile sia una sorta di vampiro che, invece di benzina, necessiti di sangue umano per funzionare. La lotta, da parte del dottore, per salvare la collega di lavoro e smascherare i subdoli piani della “Ferat” sarà più difficile del previsto. Datato 1981, “Upír z Feratu” è un mix di horror, fantascienza e dramma sociale stemperato da toni apertamente satirici. Ben confezionato e dotato di un'atmosfera da “complotto” Kafkiano , che a tratti può ricordare “L'inquilino del terzo piano” di Polanski, il film mantiene l'orrore in sottofondo e lo utilizza come bisturi, con cui incidere il tessuto di una società che si sta ammalando a causa del capitalismo. L'automobile è vista come l'ariete con cui quest'ultimo sfonda le barriere difensive mentali del popolo e lo ipnotizza, lo spersonalizza e lo rende schiavo, con il fine ultimo di berne il sangue. Siamo posseduti da ciò che possediamo, suggerisce il regista Herz , che ha compreso appieno l'indiscussa potenza dell'horror come lente d'ingrandimento dei mali e dei timori della società. Non si tratta di mera propaganda anti-capitalistica, come si potrebbe dedurre dal fatto che l'ex Cecoslovacchia era sotto regime comunista ai tempi, quanto piuttosto di una critica caustica ed apolitica che cerca di sfruttare il genere per entrare nella coscienza comune. L'eccessiva verbosità, il ritmo non sempre serrato e la mancanza di spettacolarità, specie nella parte centrale della pellicola, potrebbero scoraggiare parte degli spettatori ma, nonostante ciò, “Upír z Feratu” resta un insolito e esempio di horror sociale, che riserva momenti di satira “cattivi” al punto giusto (uno su tutti, la scena in cui un'anziana signora terrorizzata, si ritrova intrappolata nel traffico cittadino e muore sotto l'indifferenza generale). Agli effetti speciali, che tra l'altro riservano una scena particolarmente sanguinolenta in cui la “Skoda Ferat” fagocita l'incauto dottore, ha collaborato anche il regista di culto Jan Švankmajer. Inedito in Italia.

VACACIONES DE TERROR

Un architetto di successo scopre di aver ricevuto in eredità una vecchia casa di campagna e decide di andare a visitarla, con tutta la famiglia al seguito, per rimetterla in sesto e passare una rilassante vacanza. Ma il ritrovamento di una vecchia bambola, da parte di una delle sue figlie, darà inizio ad un incubo senza fine. Nel giocattolo infatti si cela lo spirito vendicativo di una strega, arsa viva secoli prima, che ha intenzione di possedere ed uccidere ogni singolo componente della famiglia. Solo attraverso l'uso di un vecchio medaglione sacro, lo spirito malvagio potrà essere fermato. Notevole successo in patria per questa produzione messicana del 1988 che racchiude in sé numerosi spunti e riferimenti al cinema horror americano ed europeo. Dalla serie “Amityville”, passando per “ La Casa ” di Raimi e “Poltergeist” di Hooper, fino a chiare influenze “Fulciane” nella messa in scena, “Vacaciones de Terror” mescola e rimpasta tutto, per narrare una lineare vicenda di possessioni demoniache non priva però di un'efficace atmosfera. Punto di forza della pellicola è sicuramente la bambola dall'aspetto realmente inquietante che (particolare che le conferisce grande impatto visivo/suggestivo) con il semplice movimento a scatto degli occhi impartisce ordini, sposta oggetti e scatena violenti fenomeni poltergeist. Impossibile non notare il parallelo fra quest'ultima ed un'altra, altrettanto diabolica, fulcro del film "Il triangolo delle Bermude" diretto da Renè Cardona Jr. che è il padre di Renè Cardona III, autore della pellicola che stiamo trattando. Di mestiere la regia di quest'ultimo, oltretutto nipote dell'icona del cinema messicano Renè Cardona, che nonostante il taglio quasi televisivo dell'opera trova non disprezzabili soluzioni visive che sopperiscono ad evidenti falle di sceneggiatura e logica. Prodotto molto naif e con evidenti limiti, ma comunque dignitoso, “Vacaciones de Terror” resta un film molto amato in patria che ha saputo giocare bene le sue carte, non ultima quella dell'accurata scelta di un cast composto da volti noti del cinema e della televisione messicana fra i quali il cantante , al tempo idolo delle teenagers, Pedro Fernandez. Due anni dopo arriverà il sequel “Vacaciones de Terror 2 – Cumpleaños Diabolico”.

VACANCY

Una coppia in crisi , prossima al divorzio, sta effettuando un viaggio in auto in un'isolata zona montuosa. Persi per le strade deserte, e con problemi alla vettura, i due si fermano in un motel sgangherato. Affittano una stanza e tutto sembra, più o meno, procedere tranquillamente. Ma quello che i due non sanno è che ci sono telecamere che li spiano, all'interno della stanza, e che le intenzioni dei padroni del motel non sono affatto benevole. Thriller/horror di buon intrattenimento del 2007, robusto dal lato tecnico ma con una sceneggiatura standard, che non riserva particolari sorprese. La regia di Nimrod Antal (“Kontroll”) è solida, azzeccata per scelte visive e muscolare, il montaggio curato e la fotografia è cruda e sporca quel tanto che serve a trasmettere il senso morboso, che aleggia nella vicenda. Purtroppo però gli eventi, dopo una bella impennata di tensione nella prima parte, si fanno sempre più prevedibili fino al finale improbabile ed appositamente concepito per tranquillizzare lo spettatore più sensibile. Diligente il cast in cui Kate Beckinsale regala una prova sufficiente a livello recitativo, ma soprattutto ammalia per la sua bellezza cupa. Rispetto a tutto quello che di mediocre gira nelle sale d'estate, “Vacancy” risulta un prodotto godibile in grado di regalare anche alcuni piacevoli attimi di suspence. Ovviamente è un film che va visto al cinema, altrimenti in televisione perde gran parte del suo potenziale impatto.



VAN HELSING

Il cacciatore di mostri Van Helsing è da sempre segretamente al servizio della chiesa per debellare il demonio in ogni sua forma. In ogni missione, l'eroe si trova ad affrontare mostri e creature infernali che sconfigge grazie alla sua abilità ed alle sue armi tecnologiche. Assieme all'imbranato ma geniale frate Carl, Van Helsing se la dovrà vedere con il conte Dracula in persona che sta creando un esercito di vampiri per dominare il mondo e spazzare via gli umani. Durante la sua avventura, il “nostro” incontrerà i miti dell'horror classico quali Dr. Jeckyll/Mr. Hide, la creatura di Frankenstein e l'uomo lupo. Sommers ci riprova, dopo l'ottimo successo commerciale dei suoi “ La Mummia ” e “ La Mummia – Il ritorno”. Il regista americano ripropone la medesima formula ovvero ironia, ritmo forsennato e baraonda di effetti speciali. L'impatto visivo è comunque l'unico fattore che tiene a galla il film. Impressionanti effetti speciali a fiumi, fondali ricostruiti in computer grafica, creature mostruose che volano, urlano ed esplodono ecc… ovviamente il tutto sincronizzato al ritmo di un moderno videogame fatto su misura per un pubblico di giovanissimi. Invero risulta un po' triste vedere classiche leggende europee (Van Helsing, Dracula, la creatura di Frankenstein) ridotte alla stregua di personaggi da “cartoon” che, privi di spessore simbolico, vengono sballottati da una parte all'altra dello schermo. Ma se si può chiudere un occhio su questo atteggiamento superficiale (a cui i blockbuster americani ci hanno abituato, vedi per esempio il recente “Troy” che fin troppe licenze si è preso sull'opera di Omero) non si può fare altrettanto per la storia gracile e per la sceneggiatura bucherellata e pretestuosa. Questi fattori non fanno altro che limitare “Van Helsing”, troppo sciocco per un pubblico adulto, ed adatto solo a platee di tredicenni.



VENERDI' 13
(Friday the 13th)

Ecco il capostipite di una delle saghe in assoluto piu' lunge della storia dell'horror. La storia narra di una serie di efferati omicidi che avvengono a Crystal Lake, un campeggio estivo per teen-ager. Il camping in questione fu in passato luogo di un tragico incidente: un bambino deforme, di nome Jason, annego' nel lago senza che nessuno dei presenti si accorgesse di lui e corresse in soccorso. Gli omicidi ovviamente sono legati a questo fatto del passato e nel finale, carico di tensione, si verra' a scoprire che prorpio la madre di Jason e' l'assassino, impazzita dopo la triste scomparsa del figlio. Il film, alla sua uscita nelle sale cinematografiche, ottenne un grosso successo commerciale dando poi appunto origine ad altri nove capitoli! Aldila' delle qualita' effettive del film, tra l'altro fortemente debitore di una pellicola di Mario Bava dal titolo: "REAZIONE A CATENA"(specialmente nel secondo capitolo della saga, "L'assassino ti siede accanto". Ben due omicidi vengono letteralmente copiati dal film italiano...la scena degli amanti impalati assieme con un arpione e la scena della mannaiata in volto!) bisogna dar atto al regista S.Cunningham di esser stato abile ed assai intuitivo. Dare ai teen-ager americani un prodotto del genere e' stato un colpo di genio! Difatti il genere slasher (cosi' vengono denominati questi film con un serial-killer che falcidia incauti e stupidi ragazzoti) esplodera' con tutta una serie di imitazioni piu' o meno decenti. La genialita' di S.Cunningham sta nell'aver creato un genere di pellicola per la quale non serve particolare sforzo d'intelligenza e nemmeno troppa attenzione...tutto quel che serve e' fame di effettacci e di sesso giovanile! A differenza di Carpenter( che nel suo "HALLOWEEN" creo' uno slasher assai piu' complesso ed innovativo) al regista di "VENERDI' 13" non interessano introspezioni psicologiche, tant'è che i teenagers del film sembrano macchiette in attesa di esecuzione. Bisogna dire tuttavia ,che ci sono discreti attimi di tensione ed il colpo di scena finale e' piuttosto ben congegnato. In definitiva un film che comunque ha una confezione piuttosto buona ed efficace, a differenza invece di molti suoi sequel. Difatti la qualita' nella serie di "Venerdi 13" calera' paurosamente con l'aumentare dei seguiti !


VERTIGE (HIGH LANE)


Gruppo di ragazzi francesi in vacanza in Croazia decide di cimentarsi in climbing su pareti rocciose, nonostante gli evidenti divieti e segnali di pericolo sparsi nella zona. I giovani restano ben presto isolati, senza possibilità di tornare verso la salvezza dell'automobile, ed una misteriosa presenza comincia a falcidiarli usando balestra, coltelli e trappole da orso. Scatta la lotta per la sopravvivenza. Avrete capito benissimo, dall'esile plot, che “Vertige” è un film che mette al bando l'originalità scegliendo la via dell'azione spettacolare e nella prima mezzora di film, effettivamente, riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo. Tutto questo grazie alle locations delle splendide Alpi francesi, che nella pellicola vengono spacciate come croate, e a rocambolesche riprese di scalate su pareti, stuntmen sospesi nel vuoto e situazioni perigliose che culminano con l'adrenalica sequenza del ponte tibetano. Poi subentra l'orrore, attraverso soggettive minacciose dello psychokiller , ambientazioni alla “Wrong Turn” ed omicidi gore ed il film crolla inaspettatamente. La regia di Ferry s'infiacchisce tanto da mostrare una scarsa propensione per il genere horror, gli accadimenti si fanno estremamente prevedibili, la sceneggiatura gira a vuoto e i giovani attori cercano di tener in piedi la credibilità che vacilla pericolosamente. Non entusiasma neanche il modo in cui viene dipinto lo psychokiller , quasi preso a prestito dall'orribile “Memorial Valley Massacre”, che più che spaventare lascia perplesso lo spettatore, a cui vengono forniti bricioli d'indizi per comprenderne origine e motivazioni. Peccato che “Vertige” scivoli via senza lasciar traccia nella memoria poiché aveva le credenziali per ambire a qualcosa di decisamente migliore. Resta pur sempre un prodotto dal respiro internazionale, confezionato con cura e dotato di momenti di ottimo impatto, ma lo stesso si confonde nella massa dei survivals in circolazione.



VINYAN


C'era grande attesa, almeno da parte del sottoscritto, per questa nuova opera del belga Du Welz a distanza di quattro anni dallo sconvolgente “Calvaire”. Aspettative deluse in parte, purtroppo, nonostante la riconferma delle capacità visive e registiche fuori dall'ordinario del regista sopraccitato. “Vinyan” è una storia di dolore ed ossessione, di contatto ed immersione totale in una natura ostile, ventre umido e maleodorante che partorisce ed inghiotte l'essere umano e sorta di specchio dell'anima e della coscienza. Una coppia ha perso il proprio bambino in Tailandia durante il tragico tsunami che nel 2004 ha devastato il sud-est asiatico. Non avendo mai ritrovato il cadavere del piccolo, i due non si danno pace e durante una proiezione di un video, riguardante un piccolo villaggio ricostruito in favore degli orfani del maremoto, si convincono di riconoscere il figlio in alcuni confusi fotogrammi. Si lanciano subito alla ricerca, affidandosi a dubbi personaggi che chiedono ingenti somme di denaro e li trascinano nel folto della foresta tailandese. In quel posto, dimenticato da Dio, la coppia si ritroverà ad affrontare un orrore in grado di devastare la psiche ed uccidere. Presupposti accattivanti, realizzazione tecnica eccellente, fotografia di classe dalle tinte fosche, cast di tutto rispetto (Rufus Sewell ed Emmanuelle – sexy labbra di gomma – Béart) ma…c'è qualcosa che non funziona fino in fondo. Du Welz affronta la tematica della perdita di un figlio, con il conseguente urto psicologico familiare, che in molti prima di lui hanno narrato, spesso con risultati di grande valore artistico ed emotivo, e cerca di farlo con il suo crudo stile visionario e profondamente pessimista. Ciò che ne scaturisce è un ibrido fra il dramma intimista e l'horror che mette in luce un grande abilità tecnica, sin troppo debordante, ma anche dei limiti nel riuscire a scavare sino in fondo alle psicologie dei suoi personaggi. Gli straordinari piani sequenza nella foresta e nelle pozze acquitrinose, in cui gli attori si dibattono, e l'incipit in cui viene rappresentato lo tsunami attraverso un terrificante ribollire di sangue, acqua e ciocche di capelli sembrano quasi delle sfuriate “autorali” all'interno di una pellicola dal ritmo estremamente dilatato, in cui gli attori urlano il proprio dolore, dimenticando di esprimerlo sottilmente ed in maniera più efficace. Senza un autentico controllo sulla comunicazione concreta di emozioni e sentimenti, “Vinyan” si ritrova a vivere di atmosfere stranianti in un viaggio verso gli inferi, che alla lunga ottiene un effetto quasi soporifero. La natura opprimente e mefitica è resa visivamente in modo ineccepibile e probabilmente è il vero punto di forza del film stesso, seppur nel precedente “Calvaire” ottenesse effetti ben più inquietanti sullo spettatore. Non è mai corretto paragonare fra di loro film dello stesso autore, poiché ogni opera è unica e a sé stante, ma è innegabile che “Vinyan” sembri quasi una riproposizione a budget ben più considerevole, cambiando intenti e soggetti, della tematica centrale appunto di “Calvaire”, ovvero una visione dell'habitat come riproduzione grottesca e terrificante delle nostre paure, delle nostre colpe e dei nostri istinti malamente sopiti. Resta comunque da dire che “Vinyan” riserva momenti di grande cinema e dispensa anche qualche buon brivido, regalandoci un finale delirante ed estremamente cruento che ci riporta ad un contatto totale e definitivo con la natura, spogliando i protagonisti della vicenda di qualsiasi legame col mondo costituito e lasciandoli preda del loro autentico essere.


VLAD

Vincitore di alcuni festival per l'horror indipendente e dotato di un'idea di base, potenzialmente interessante, ecco giungere in Italia il film “Vlad”, distribuito in home video dalla Gargoyle. La vicenda prende spunto dalla fama terribile del monarca Vlad Tepes, da cui poi nascerà il mito di Dracula. Quattro studenti si recano in Romania per effettuare ricerche sul conte Vlad ma si troveranno imbarcati in un incubo. Difatti, una ragazza del gruppo, possiede un antico medaglione in grado di evocare spiriti dal passato e che farà da cancello dell'aldilà. Lo spirito malvagio e bramoso di vendetta di Vlad, tornerà ai giorni nostri, in cerca di sangue umano da versare. Presentato come un esempio alternativo di horror che si basa sul mito di Dracula, il film in realtà scivola assai rapidamente su strada battute e canoniche. Il personaggio di Vlad doveva essere presentato come il feroce impalatore e non il classico vampiro, ma purtroppo risulta assolutamente privo di qualsivoglia spessore e fascino. La confezione è piuttosto patinata, nonostante il budget non enorme, e la regia va in cerca di virtuosismi continui, ma la noia si fa strada rapidamente nello spettatore. Povero d'idee, “Vlad” presenta il solito stuolo di bellocci, improbabili nei ruoli assegnati, e spreca un cast potenzialmente interessante che vede schierati anche Brad Dourif e Billy Zane (il suo personaggio, tra l'altro, è abbozzato a malapena e sfuma senza lasciar segno). Qualche momento d'effetto, sparso qua e la, non basta a risollevare le sorti della pellicola.



VIRUS

Ecco una delle molte palesi dimostrazioni di come una produzione Hollywoodiana a budget consistente possa risultare solo un pesante buco nell'acqua. John Bruno, sceneggiatore con Cameron di "Terminator 2 - Judgement Day", tenta la carta fanta-horror riciclando le idee più banali che riguardano cyborg ed affini. La storia prende piede su di una nave, munita di apparecchi satellitari, che alcuni contrabbandieri trovano nel bel mezzo dell'oceano e senza che ci sia a bordo , apparentemente, anima viva. Decisi più che mai a recuperare l'imbarcazione per poi rivenderla al miglior acquirente non decidono di riattivare la corrente elettrica a bordo per azionare i motori. Cosi' facendo però risvegliano un'entità virus spaziale che tramite i satelliti era penetrata nel sistema di comunicazione parabolico della nave ed aveva sterminato il suo equipaggio. Inizierà la lotta fra umani e cyborg (poiché l'entità usa gli uomini come pezzi di ricambio biomeccanici) che alla fine si tramuterà in una vera e propria lotta fra virus! Difatti l'entità considera cosi' gli esseri umani e come tali li vuole debellare. Scontato polpettone che annovera nel cast nomi illustri quali Jamie Lee Curtis, William Baldwin e Donald Sutherland ma che possiede una sceneggiatura degna della peggiore serie-b. Gli effetti speciali sono l'unica cosa interessante anche se le creatura sono fin troppo debitrici nei confronti degli scheletri cyborg del sopracitato "Terminator". Senza dinamismo e con tanta noia si va avanti verso il risaputo e blandissimo finale con la consapevolezza che questo "Virus" sarà subitaneamente dimenticato dallo spettatore non appena scorreranno i sospirati titoli di coda.



VOLO PER L'INFERNO (FLIGHT TO HELL)

Il “Roulette One” è un aereo costruito come una Las Vegas volante, vero e proprio casinò dedicato a ricconi che amano il gioco d'azzardo. La sfiga vuole che, durante un volo, l'aeroplano s'imbatta in una strana nube verdastra che rilascia delle spore al suo interno. I microbi, di origine aliena, infettano l'equipaggio e generano mostri verdi affamati di carne umana. Detto così, seppur affatto originale, “Volo per l'inferno” potrebbe anche risultare simpatico. Invece è tremendamente brutto e noioso. Datato 2002, ma uscito nel mercato dvd nostrano solo nel 2009, il film è opera di Al(varo) Passeri che cerca di traslare la vicenda del suo precedente “Plankton” dall'oceano al cielo ma non vi riesce, complice anche una povertà di mezzi ancor più evidente in questo “Volo per l'inferno”. C'è da dire che “Plankton”, nel suo essere incredibilmente weird , aveva un buon ritmo ed una sfrontatezza gore completamente assenti nel film in questione. L'utilizzo massiccio del green screen , nonostante denoti ambizioni notevoli nel voler aggirare il problema dei pochi mezzi a disposizione, è una lama a doppio taglio che affossa la pellicola visto che la qualità della CG è decisamente ridicola. A questo sommate una recitazione raccapricciante, dei dialoghi ridicoli, una confezione tecnica scadente (la fotografia è terribile) ed ecco che la frittata è fatta. Non mancano momenti altamente trash, che toccano i vertici nelle apparizioni dei fintissimi mostri (in alcuni punti, brevissimamente, compaiono fotogrammi rubati da “Aliens – Scontro Finale” di Cameron) e nelle goffe scene di sesso, ma la noia prende il sopravvento e non concede poi molte risate allo spettatore. Personalmente resto sempre a favore del buon Passeri, che lotta per produrre ancora horror e fantascienza made in Italy anche se per vedere fino alla fine “Volo per l'inferno” ce ne vuole, credetemi.



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